Scellerato, odioso, supponente potrebbe definirsi il comportamento degli istituti di credito che, all'indomani della crisi finanziaria del 2008-2009 sono stati salvati dagli Stati attraverso i soldi dei contribuenti, quindi dei loro stessi clienti e che, senza proferir parola, hanno mantenuto i prestiti più rischiosi non facendo affatto tesoro di quanto accaduto. Ad evidenziare la situazione, alquanto irritante per la verità, è stato uno studio pubblicato dalla Bri (Banca dei regolamenti internazionali che ha sede a Basilea ed ha come azionisti 56 banche centrali, tra cui anche la Banca d’Italia) che ha passato al setaccio i bilanci di 87 istituti finanziari nel mondo, 40 dei quali hanno ricevuto in diverse forme aiuti pubblici. In risposta alla crisi finanziaria le autorità di vari paesi hanno utilizzato denaro pubblico per ricapitalizzare le banche. Queste operazioni di salvataggio hanno indotto un ridimensionamento dei rischi nell'attività di credito delle banche interessate? Per rispondere a tale domanda, lo studio ha analizzato i bilanci e le sottoscrizioni di prestiti sindacati relativi a 87 grandi banche con operatività internazionale. Di fronte al calo generalizzato dei volumi di sottoscrizione dei prestiti nel 2009, lo studio mostra che le banche oggetto di salvataggio non hanno ridotto la rischiosità dei nuovi prestiti in misura maggiore delle altre banche. Questi risultati possono contribuire alla valutazione in corso dei programmi pubblici di salvataggio bancario. Se il comportamento delle banche rimane tale, perché continuare ad aiutarle?
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lunedì 17 settembre 2012
Le banche riversano i rischi sui clienti che le hanno salvate
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