Trump riapre a Pechino e salva la Silicon Valley: un nuovo capitolo nella guerra dei dazi tra USA e Cina
Dopo settimane di escalation nelle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina, l’amministrazione Trump ha stupito il mondo con una mossa inaspettata: un’esenzione dai dazi per smartphone, computer e componenti elettronici importati dalla Cina. Una decisione che, almeno temporaneamente, allenta la pressione sulla Silicon Valley e sui colossi tech statunitensi, ma che al tempo stesso rappresenta una manovra strategica molto più complessa, parte integrante di un più ampio disegno geopolitico.
Una guerra dai molteplici fronti
Il nuovo capitolo della guerra commerciale tra Washington e Pechino ha preso forma con l’imposizione di dazi fino al 145% sui prodotti cinesi, una misura aggressiva volta a rafforzare la produzione interna e colpire il gigante asiatico. Tuttavia, questa politica protezionista ha subito incontrato i suoi limiti strutturali: la quasi totalità degli iPhone, così come una porzione significativa di laptop, monitor e microchip, viene prodotta o assemblata in Asia, con la Cina al centro di questa filiera.
Le esenzioni annunciate dal presidente Trump non sono quindi solo un segnale distensivo verso Xi Jinping, ma anche un riconoscimento implicito della dipendenza strutturale dell’industria statunitense dalla manifattura asiatica, in particolare in settori ad alta tecnologia dove la produzione non può essere semplicemente riportata in patria.
Silicon Valley salva (per ora)
Apple, ma anche Google, HP, Dell e altri giganti della tecnologia, possono tirare un sospiro di sollievo. L’esclusione dai dazi sui componenti elettronici evita un effetto domino sul prezzo finale dei prodotti, che avrebbe colpito direttamente i consumatori americani. Secondo Wedbush Securities, Apple ha scorte di iPhone per sei settimane: superata quella soglia, i rincari sarebbero stati inevitabili.
Dietro questa esenzione si cela anche un'operazione politica: Trump non vuole alienarsi il sostegno delle grandi aziende tech, né provocare un contraccolpo sul fronte dei consumatori, soprattutto in vista delle presidenziali. Le dichiarazioni rilasciate sull’Air Force One – «ci saranno eccezioni per ovvie ragioni» – testimoniano un pragmatismo inatteso, che in questo caso ha prevalso sulla retorica muscolare.
Ritorsioni culturali: la Cina colpisce Hollywood
Dall’altra parte del Pacifico, la reazione di Pechino non si è fatta attendere. La Cina ha annunciato una riduzione «moderata» del numero di film statunitensi distribuiti sul proprio territorio, colpendo così uno dei settori simbolo dell’industria culturale americana: Hollywood. Una mossa mirata, simbolica, ma anche economicamente rilevante, che riflette un nuovo tipo di conflitto commerciale, dove la cultura diventa terreno di scontro.
È una strategia che punta a stimolare il mercato interno e ridurre la dipendenza dai contenuti culturali statunitensi. In parallelo, Pechino ha anche annunciato incentivi per favorire le vendite domestiche e aiutare le aziende colpite dalle restrizioni USA a trovare nuovi sbocchi interni e regionali.
Il ritorno dell’orgoglio nazionale e il patriottismo economico
In Cina si sta registrando un'ondata di patriottismo economico, alimentato da una campagna mediatica orchestrata dal governo e sostenuta da imprenditori locali. Dalle azioni simboliche dei ristoranti di Wuhan, che applicano sovrapprezzi ai clienti americani, ai video storici di Mao rilanciati dai canali ufficiali, Pechino cerca di trasformare lo scontro commerciale in una battaglia per l’indipendenza e la dignità nazionale.
Xi Jinping ha ribadito che la Cina ha costruito la propria forza economica senza favori esterni e che non intende cedere a nessuna forma di pressione. Un messaggio forte, destinato a rafforzare la coesione interna e a consolidare il sostegno del popolo cinese in un momento di crisi globale.
Il Dragone cerca nuovi alleati (e li trova a Bruxelles?)
Sul piano diplomatico, Pechino sta cercando nuove sponde strategiche, e l’Europa sembra pronta a cogliere l’occasione. Il vertice Ue-Cina previsto a luglio sarà ospitato non a Bruxelles ma a Pechino, un gesto che molti interpretano come un tentativo dell’Unione Europea di riannodare i rapporti con la Cina, dopo gli attriti legati alla pandemia e alla via della Seta.
Ursula von der Leyen ha chiamato direttamente il premier cinese Li Qiang, sottolineando la necessità di evitare deviazioni degli scambi commerciali e garantire un sistema multilaterale equo. In un mondo dove le rotte del commercio globale sono in continua ridefinizione, l’Ue vuole evitare di essere solo un terreno di scontro tra due superpotenze.
La minaccia di un’invasione commerciale cinese in Europa
Ma avvicinarsi a Pechino non è privo di rischi. Gli analisti avvertono: la Cina, trovando sbarrata la porta statunitense, potrebbe inondare l’Europa con i suoi prodotti a basso costo, minacciando l’equilibrio delle filiere europee. «Questo cambiamento potrebbe portare a nuove rotte commerciali e a una catena di approvvigionamento più complessa», avverte Daniela Sabin Hathorn, con la possibilità che molte aziende devino i loro flussi per aggirare i dazi statunitensi.
Una minaccia che Bruxelles dovrà fronteggiare con decisione, senza però rinunciare a una collaborazione con Pechino che – per molte economie europee – rappresenta una valvola di sfogo commerciale necessaria.
Trump e la strategia del Divide et Impera
La strategia di Trump sembra ricalcare il principio del "Divide et impera": indebolire la Cina isolandola, ma contemporaneamente mettere sotto pressione gli alleati tradizionali degli Stati Uniti, con dazi estesi anche a India, Vietnam e altri paesi asiatici. Una mossa che punta a spostare le catene del valore verso gli Stati Uniti, riportando produzione e investimenti industriali sul territorio americano.
Una politica commerciale muscolare, ma non priva di contraddizioni: esentare temporaneamente la Silicon Valley dai dazi è un chiaro esempio di come il pragmatismo economico stia correggendo le ambizioni ideologiche.
Una tregua fragile in un mondo frammentato
Quello che stiamo vivendo non è soltanto un conflitto tariffario: è una lotta per la leadership economica e culturale globale. La tregua sui dazi tecnologici è solo apparente. La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina è ormai il riflesso di un confronto più ampio, che coinvolge logiche di potere, influenza geopolitica e identità nazionali.
Se Trump, con la sua imprevedibilità, apre un varco per negoziare, Pechino risponde mostrando forza e orgoglio. L’Europa, nel mezzo, è chiamata a una scelta di campo non facile, tra la fedeltà atlantica e l’interesse economico a mantenere aperto il canale con il Dragone.
In questo scenario fluido, le decisioni prese nei prossimi mesi potranno ridisegnare l’architettura del commercio internazionale e il futuro stesso della globalizzazione. E la Silicon Valley, per ora salva, potrebbe trovarsi ancora una volta al centro del ciclone.
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