Trump minaccia l’Europa con dazi al 50%: guerra commerciale o strategia negoziale?
Donald Trump torna al centro della scena economico-politica internazionale con un annuncio che potrebbe avere ripercussioni globali: dazi doganali fino al 50% su beni europei in entrata negli Stati Uniti a partire dal 1° giugno 2025. Un’eventualità che, oltre a mettere sotto pressione i negoziati in corso tra Washington e Bruxelles, genera allarme nei mercati, negli ambienti economici e tra gli analisti geopolitici.
Il ritorno dell’agenda protezionista trumpiana
La posizione di Trump non è nuova. Già durante il suo primo mandato, l’ex presidente aveva adottato una linea fortemente protezionistica, imponendo dazi su merci cinesi e minacciando più volte l’UE. Oggi, con un’economia americana segnata da un debito pubblico elevato e un deficit commerciale persistente, il tycoon rilancia la narrativa dell’America vittima delle relazioni commerciali squilibrate, definendo l’Unione Europea come un’entità “creata per approfittarsi degli Stati Uniti”.
La retorica è chiara: Trump sostiene che l’UE impone barriere doganali e normative “inique” alle aziende americane, mentre beneficia di un accesso relativamente libero al mercato statunitense. Da qui la minaccia di un aumento drastico dei dazi per riequilibrare il saldo commerciale.
L’impatto immediato sui mercati finanziari
L’annuncio ha avuto effetti immediati sui mercati: le borse europee hanno bruciato circa 183 miliardi di euro in poche ore, mentre Wall Street ha registrato un calo, con Apple che ha perso oltre il 3% in apertura. Questo perché Trump ha minacciato anche un dazio del 25% sugli iPhone non prodotti negli USA, colpendo direttamente una delle aziende simbolo del capitalismo americano.
Le reazioni nervose dei mercati riflettono l’elevata incertezza sul futuro dei rapporti commerciali transatlantici. Il commissario europeo Maros Sefcovic ha ribadito l’apertura dell’UE a un accordo, ma ha respinto le minacce: “Il commercio deve basarsi sul rispetto reciproco, non sul ricatto”.
Gli scenari possibili dal 1° giugno
Dazi al 50% applicati senza accordo
Se Trump darà seguito alla minaccia, l’imposizione di tariffe del 50% sui beni europei porterà a:
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Aumento dei prezzi al consumo negli USA. Come già accaduto nella guerra commerciale con la Cina nel 2018, il costo dei dazi sarà in gran parte scaricato sui consumatori americani. Una bottiglia di champagne da 100 dollari, ad esempio, costerebbe 150 dollari.
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Contraccolpi sull’inflazione: i prezzi più alti dei beni importati dall’Europa potrebbero alimentare una nuova fiammata inflattiva, proprio mentre la Fed cerca di normalizzare la politica monetaria.
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Ritorsioni europee: Bruxelles potrebbe rispondere con contro-dazi su prodotti simbolo del Made in USA, colpendo settori agricoli, tecnologici e automobilistici.
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Danneggiamento delle filiere globali: molte imprese americane dipendono da componenti e tecnologie europee. L’interruzione di questi flussi potrebbe rallentare la produzione interna.
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Rallentamento del commercio globale: secondo il WTO, una guerra commerciale aperta tra UE e USA potrebbe tagliare fino a un punto di PIL alla crescita globale.
Accordo commerciale in extremis
Un accordo, seppur improbabile secondo le dichiarazioni attuali di Trump, rappresenterebbe l’esito più auspicabile per i mercati. In tal caso:
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L’UE potrebbe concedere maggiore accesso ad alcuni mercati (ad es. quelli agricoli o dei servizi finanziari) in cambio del congelamento dei dazi.
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Si potrebbero concordare standard tecnici comuni e forme di armonizzazione normativa.
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Gli USA rinuncerebbero all’aumento tariffario in cambio di concessioni simboliche, sufficienti a Trump per “vendere” la vittoria all’elettorato.
Tuttavia, lo stile negoziale trumpiano — basato sul confronto, non sul compromesso — rende questa prospettiva incerta. Inoltre, secondo alcuni insider della Casa Bianca, le minacce potrebbero essere solo uno strumento di pressione temporaneo.
Prosecuzione della politica protezionistica a lungo termine
Qualora Trump mantenesse una linea coerente con quanto promesso, potremmo assistere a una ridefinizione sistemica dei rapporti commerciali USA-UE. I principali effetti:
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Ritorno a un ordine commerciale multipolare, dove ogni area economica cerca l’autosufficienza e riduce la dipendenza dall’estero.
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Maggiore instabilità nei mercati internazionali, con investimenti penalizzati dall’incertezza geopolitica.
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Crescita delle relazioni bilaterali alternative tra UE e Paesi asiatici o latinoamericani per compensare la perdita del mercato americano.
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Rischio di una disconnessione strutturale tra le economie occidentali, che fino ad oggi avevano cooperato in un’ottica di mercato integrato.
Effetti sull’economia americana
Paradossalmente, il protezionismo trumpiano potrebbe colpire duramente proprio l’economia USA:
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Consumi interni indeboliti dall’aumento dei prezzi dei beni importati.
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Deficit pubblico aggravato: se i dazi riducono la crescita, calano anche le entrate fiscali.
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Riduzione dell’export USA in seguito a ritorsioni europee.
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Peggioramento del clima imprenditoriale: aziende come Apple, Boeing o Ford dipendono dai mercati esteri. Inasprire le relazioni con i principali partner rischia di isolare gli USA economicamente.
Trump sembra voler tornare al “Make America Great Again” anche in economia, rispolverando la logica del conflitto commerciale. Ma nel 2025, in un mondo ancor più interconnesso e fragile, la guerra dei dazi rischia di essere una strategia perdente per tutti.
L'Unione Europea, pur sotto pressione, appare determinata a difendere i propri interessi senza cedere a diktat unilaterali. I prossimi giorni saranno cruciali: o si riaprono i canali diplomatici o si assisterà a un nuovo, duro capitolo della guerra commerciale globale.
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